Uccelli,
come la ghiandaia (Garrulus glandarius – canterino ghiandaio), che ha un canto
possente e un po’ ripetitivo e sotterra grandi quantità di ghiande per
l’inverno; il fringuello alpino che vive a duemila metri di altitudine
(Montifringilla nivalis, da monti e fringilla, cioè dalla famiglia dei
fringillidi e nivalis che è nevoso). L’Averla maggiore (Lanius excubitor: Macellaio
guardia), un piccolo rapace di venticinque centimetri, che con organizzazione e
freddezza riordina le sue prede infilzandole agli aculei di un’acacia o un
rovo, da dove vigila e caccia, per poi dilaniarle e nutrirsene. Viene chiamato
guardiano per l’abitudine di gridare quando scorge in lontananza un rapace,
avvisando così anche gli altri uccelli, per poi coraggiosamente e arditamente,
attaccarlo anche se molto più grande di lui[1].
Tanti nomi e tante attività corrispondenti, però c’è anche il cuculo, sì, che
fa sempre “Cucù, cucù”, insistentemente, in primavera; probabile motivo per
l’attribuzione del nome onomatopeico: Cuculo (Cuculus canorus – Cuculo canoro).
Si dice che il primo canto primaverile del
cuculo è un pronostico di ricchezza per chi lo ode, se si ha una moneta in
tasca (anche senza per alcuni) o, comunque, promette la realizzazione dei
desideri.